Pecunia non contingit.

Posted on 2 Febbraio 2021Commenti disabilitati su Pecunia non contingit.

Ci siamo davvero ridotti così male da fare invidiare al saggio e vetusto teatro di essere come un programma televisivo nazional-popolare? Davvero abbiamo bisogno di invocare il presunto privilegio, ma poi non tanto presunto, di queste kermesse per affermare la necessità che l’attività culturale nelle sale teatrali e cinematografiche torni ad aprire sia pure con le necessarie e opportune misure di sicurezza anti Covid?

E’ quello che sta accadendo in queste ore. Di fronte all’ennesimo schiaffo che il settore teatrale subisce, chiuso da un anno circa, complice l’opportuno, per lui, silenzio del suo Minister preposto a sviluppare l’acrasi di un progetto pirata, nel senso di improntato a una furberia avida e indiscriminata, molto vicina alla frode, ovvero ItsArt, piattaforma dello steaming teatrale contemporaneo, il settore si interroga se fare o no la rivoluzione!

Ma cosa dobbiamo pensare quando ci chiediamo perché le sale teatrali e cinematografiche, come i musei di tutta Italia sono chiusi all’ingresso del pubblico e invece Xfactor, Amici della De Filippi e il Festival di Sanremo no?!

Innanzitutto questi eventi televisivi muovono i milioni di euro che mancano al teatro anche per sopravvivere e mai e poi mai rinuncerebbero alla messa in onda per un futile problema di sicurezza che vuole il pubblico fuori dalle sale teatrali, ma che non può certo riguardare gli studi, o presunti tali, televisivi. E la ricetta magica è proprio la pecunia, il dinero, il soldo dietro cui vanno dietro per darsi e dare a tutti noi una plenaria indulgenza che ci redima da questo assordante, quanto fastidioso, bisogno di cultura.

Un po’ di dati: “il festival di Sanremo del 2020 ha incassato 37,4 milioni di euro di ricavi pubblicitari, cifra che rappresenta un aumento del 18% rispetto ai 31,3 milioni del 2019 e di quasi 10 milioni rispetto ai 27,7 milioni del 2018.” (fonte Firstonline)

Trentasettemilioniquattrocentomila euro di ricavi pubblicitari. E il teatro? Zero. Anzi lo Stato paga per tenerlo in piedi: che seccatura!

Ma la ricchezza dello spirito? Il bisogno di aprire menti e sensibilità di un popolo attraverso il confronto con le grandi tematiche di amore, morte, passione e morale? Signor Minister Franceschini, le suonano familiari queste parole? Domanda retorica dalla risposta univoca: “Lassa lì ad rompar o at dag un scupazòn ca t’arbalt indre’ copa!” (trad.“Smettila di rompere o ti mollo uno  scapaccione che ti ribalto all’indietro!”). Il Minister è di Ferrara e ne sa più lui di Cultura che quel canasso dell’Ariosto, anch’egli ferrarese.

Volete mettere quanto può una canzone di Gabbani per giustificare il pubblico in sala, pagato e contemporaneamente tamponato in sicurezza, anziché sentire l’ennesima replica di quella chiacchierona di Blanche Du Bois che ci ammorba con la sua follia, o di Enrico IV che ci sorprende svelandoci il gioco eterno delle giocate identità? Un Occidentali’s karma e tutto va giù come la pillola di Mary Poppins.

Ben inteso, non sono contrario al Festival di Sanremo. Lo guardo e ne prendo anche spunto. Ma una domanda sorge spontanea: ogni epoca ha avuto il suo doppio binario. Dante doveva fare in conti con i vari Fazio degli Uberti o  Vannozzo da Ferrara, così come Shakespeare si imponeva su Lyly o Webster, diciamo ‘bassa’ letteratura e ‘basso’ teatro con diritto di sopravvivenza. Ma mai in nessuna epoca un governo o signoria o monarchia che fosse, mai un mecenate della Cultura ha mai girato lo sguardo altrove per strabismo pecuniario. Le regole auree della produzione intellettuale valevano allo stesso modo per tutti. Vincevano soltanto i migliori. Adesso no, invece. Ci sono regole scritte ( i Dpcm che inibiscono l’ingresso del pubblico nella sala di un teatro), che valgono per la stragrande maggioranza di chi una sala la possiede o la gestisce, ma non valgono per alcuni, ovvero i produttori televisivi dei programmi nazional-popolari. Perché? Perché dobbiamo proprio dirlo e rivelare urbi et orbi la grande scoperta: pecunia non contingit, ovvero il denaro non contagia, semmai assolve.

@Giuseppe Dipasquale